Adolescenza: una sfida per tutti

A che età si può parlare di adolescenza?

Quando si parla di “periodo adolescenziale”, in genere, ci si riferisce alla fascia di età compresa tra i 12 e i 19 anni.

Negli ultimi anni si è diffusa l’espressione “adolescenza estesa”, che riguarda l’età dai 10/11 anni ai 24. Questa nuova concezione di adolescenza è dovuta al fatto che ultimamente, da un lato, si è assistito ad una crescita anticipata (tanto che in certi casi si parla di “bruciare le tappe”) e, dall’altro, ad una sempre maggiore tendenza ad “uscire di casa” più tardi per molteplici motivi.

Tutti noi, chi prima chi dopo, abbiamo attraversato il cosiddetto “periodo adolescenziale” e sappiamo quindi cosa significa. Negli ultimi decenni, tuttavia, si è assistito ad un cambiamento nel descrivere questo periodo: ora si parla apertamente di periodo spinoso, difficile, quasi traumatico sia per i figli che per i genitori.

Ma perché viene considerato tale?

Indubbiamente, questa fase della vita è delicata in quanto si accavallano molti cambiamenti a diversi livelli: fisico, psichico e sociale. Ognuno di questi livelli è interconnesso. Ad esempio, l’aspetto ormonale influenza il livello fisico, che a sua volta agisce sui vissuti psicologici ed identitari, i quali hanno un impatto sul modo di stare nelle relazioni (gruppo di pari, famiglia).

Approfondiamo ora i cambiamenti da affrontare  per tentare di ricordarci la nostra adolescenza e cosa abbiamo provato all’epoca. In questo modo sarà molto più facile immedesimarsi nell’adolescente e reagire in maniera funzionale a ciò che lo riguarda:

  • A livello fisico: compaiono i caratteri sessuali primari e secondari, che possono provocare nell’adolescente vergogna, senso di inferiorità o orgoglio. Un ruolo molto importante lo hanno gli ormoni, in quanto sono responsabili anche dell’umore e dei suoi sbalzi repentini, facendo provare disorientamento persino al soggetto stesso (“sono arrabbiata/triste/euforica/nervosa e non so perché”).
  • A livello psichico: è pregnante il concetto di “identità” in quanto l’individuo si trova in un punto non ben identificato: tra il “non più” (bambino, dipendente, asessuale) e il “non del tutto” (adulto, indipendente, sessualizzato). Questa sensazione può causare molta confusione, sia per il giovane che per la famiglia. Questo è l’aspetto che più approfondirò nel corso di questo articolo.
  • A livello sociale: acquisisce sempre maggiore importanza ed influenza il gruppo dei pari in quanto l’individuo agogna sicurezza e protezione, ed il gruppo contribuisce a sentirsi così. D’altro canto, ultimamente molti adolescenti stanno sperimentando il lato opposto della socialità, ovvero la solitudine (un esempio estremo sono gli hikikomori). Anch’essa può donare protezione, ma è bene prestare attenzione a che la solitudine non sia assoluta ed imposta da altri, ovvero a che l’adolescente non sia emarginato dal contesto.

IDENTITÀ IN ADOLESCENZA: Chi sono? Come voglio essere? Cosa mi piace?

Come anticipato poco sopra vorrei soffermarmi sul concetto di identità che, a mio parere, nel periodo adolescenziale gioca un ruolo fondamentale per la crescita e la maturazione della persona, influenzandone anche i comportamenti e i pensieri.

Innanzitutto, definiamo l’identità come l’insieme delle caratteristiche personali che rende un individuo unico ed inconfondibile. In altre parole, quindi, è ciò che ci distingue dagli altri.

L’identità non è immutabile, ma si modifica e compone con la crescita ed i cambiamenti sociali. Essa, inoltre, è anche influenzata dal contesto sociale e dalla cultura in cui è immerso l’individuo.

Secondo lo psicoanalista Erik Erikson, il mandato dell’adolescente è proprio l’acquisizione di un senso di identità maggiormente stabile ed integrato rispetto alle fasi di crescita precedenti. Esso si può acquisire prendendo consapevolezza dei tratti della propria personalità (preferenze, obiettivi, potenzialità e limiti), ed è raggiungibile grazie all’identificazione con i propri pari e con le figure adulte di riferimento. Queste ultime verranno investite di un’autorità positiva dall’adolescente, che le prenderà come modello di vita.

Ambivalenza identitaria

La difficoltà di questo periodo è data anche dalla coesistenza, nell’adolescente, di due spinte tra loro opposte: una verso l’appropriazione del ruolo adulto (che per il momento è sconosciuto e spaventante), e l’altra che tende a mantenere il ruolo “bambino” fin’ora ricoperto, percepito come confortante e sicuro. Proprio in questa dicotomia sta la crisi dell’identità definita da Erikson, ovvero la sensazione di ambivalenza tipica del periodo che conduce pian piano l’adolescente a capire meglio se stesso, a conoscersi e a definirsi, anche rispetto agli altri.

Per giungere ad un’identità completa è necessario coniugare esplorazione ed impegno. In altre parole, sarebbe bene riuscire a sperimentare diversi modi di comportarsi e di essere, come anche diverse passioni e valori, per poi poterle confrontare e scegliere, definendo così se stessi. Si porteranno quindi avanti solo le opzioni più congeniali e che si sentiranno più “nostre”. Questo processo ci aiuterà a delineare la nostra personalità ed identità.

E’ bene sapere che è un percorso lungo (infatti si delinea la propria identità durante tutta la vita) e complicato, soprattutto all’inizio. Per questo motivo è importante che si venga sostenuti ed accompagnati da qualcuno che, allo stesso tempo, non cerchi di soffocare le nostre inclinazioni o reindirizzarle.

CONSIGLI PER L’ADOLESCENTE:

Durante questa fase di paura e confusione, poter ammettere a se stessi (e, perché no? anche a qualcun altro) di essere confuso e un po’ spaventato di quanto ti sta accadendo è liberatorio. Perché ammetterlo significa accettarsi per potersi migliorare, senza dover fingere di essere altro. Fingere di essere qualcun’altro, o qualcos’altro, è la cosa peggiore che possa accadere, perché una volta iniziato a “fingere” è difficile potersi riappropriare di se stessi.

Un aiuto per vivere bene con se stessi viene dato dalla spontaneità e dall’autoironia, scherzare delle proprie piccole debolezze o prendere con ironia i propri difetti è salutare. Sono due antidoti preziosi contro l’ansia di apparire, di emergere a tutti i costi, o la depressione dovuta ad un insuccesso. Ridere di se stessi aiuta ad accettarsi e, quindi, ad amarsi, ed è indipendente dall’amore degli altri.

CONSIGLI PER IL GENITORE:

In questo periodo di esplorazione e di tentativi per trovare la sua identità, vostro figlio ha bisogno della disponibilità e del sostegno genitoriale. Il genitore infatti, in questa fase, serve da ancora: il figlio è su una barca alla deriva, cerca vie alternative e magari sbaglia; il genitore deve accompagnarlo e fargli da porto sicuro quando è necessario. Non bisogna, quindi, né “soffocarli” con eccessivi divieti, né lasciarli completamente alla deriva aspettando che il momento passi.

La cosa migliore è navigare al loro fianco, magari stando dietro di loro per guidarli e per aiutarli ad arrivare a destinazione senza troppe ferite. Nonostante quello che i ragazzi possono dire (o urlare) a questa età, in realtà loro si aspettano di non essere mai abbandonati, quindi, genitori, stringete i denti ed ignorate frasi provocatorie quali “non capisci niente! Mi rompi solo!” e continuate a fare il vostro “lavoro” di accoglienza e sostegno.

CONFUSIONE E PAURA IN ADOLESCENZA: due modi opposti di affrontarla

Sebbene la maggior parte degli adolescenti attraversi il periodo senza troppi problemi, è necessario anche tenere in considerazione due prospettive opposte ed estreme. Anch’esse sono causate dall’ambivalenza tipica di quest’età: la spinta a sperimentare e mettersi in gioco distinguendosi dagli altri, e la necessità di omologarsi al gruppo, di confondersi con la massa per non esserne esclusi o considerati estranei. Tra queste due istanze è presente  un’eterna lotta. Osserviamo ora come gli adolescenti possono rispondere a queste spinte opposte:

  1. Conformismo: consiste in una adesione alle norme e alle abitudini del gruppo di appartenenza. E’ all’ordine del giorno, infatti, vedere ragazzi e ragazze che appartengono ad una compagnia adottare gli stessi vestiti, le stesse acconciature o gli stessi accessori, per accentuare una sorta di identità collettiva. Il gruppo di pari, a questa età, è fondamentale, in alcuni casi l’adolescente vive in funzione ad esso ed ai suoi compagni. Il culmine del conformismo si ha, solitamente, tra gli 11 e i 15 anni, in seguito va scemando in quanto acquisiscono sempre maggiore rilevanza le relazioni amorose. Molto spesso i giovani si conformano alle norme del gruppo per raggiungere l’indipendenza dalla propria famiglia. Questo fenomeno non deve essere visto in modo esclusivamente negativo in quanto aiuta l’adolescente nel percorso di sperimentazione di sé che ho descritto in precedenza.
  2.  Isolamento: è essenziale porre attenzione al motivo della solitudine, ovvero se è ricercata dal soggetto oppure se è “imposta” dal gruppo dei pari. Bisogna capire, quindi, la causa di questa ricerca di solitudine: timidezza, mancanza di rapporti sociali, episodi di bullismo, ecc… Qualora l’isolamento inizi ad essere pervasivo e duraturo bisogna prestare attenzione ai vari campanelli di allarme, per evitare di incorrere nella sindrome “hikikomori”.